Dopo il “contratto con gli italiani” e il “patto per l’Italia” domani arriva, e proprio dalla “città dei fiori” in occasione del cinquanticinquesimo festival della canzone italiana, il “patto di Sanremo”. Ovverosia, meglio tardi che mai, una serie di misure atte a controllare in modo più efficace dell’attuale il crimine della pirateria musicale. A firmarlo saranno i ministri Maurizio Gasparri, Telecomunicazioni, Lucio Stanca, Innovazione e sviluppo, e Giuliano Urbani, Beni culturali, e da quel momento speriamo che in quella giungla sempre più asfissiante che è Internet la musica, chi la fa, chi la finanzia e chi ci vive, vedano rispettati maggiormente i loro diritti, finora calpestati e derisi in nome di una mai meglio precisata “libertà artistica informatica” che ha finito per massacrarla.
“Linee guida per l’adozione di codici di condotta ed azioni per la diffusione dei contenuti digitali nell’era di Internet”: questo il titolo della piattaforma del “patto di Sanremo” che ha lo scopo, lasciamo le parole al comunicato triministeriale, “di creare un ambiente digitale sicuro che incoraggi i titolari dei contenuti a mettere a disposizione sulle reti telematiche il maggior numero possibile di opere attraenti per il consumatore, destinate alla fruizione e allo scambio da parte degli utenti”. Gli intenti sono lodevolissimi ma, temiamo, terribilmente tardivi (e non certo per colpa dei tre ministri che hanno finalmente deciso di occuparsi del problema). Vengono, soprattutto, fuori da 100 ore di audizioni dei rappresentanti delle varie categorie interessate svolte dall’apposita commissione interministeriale presieduta da Paolo Vigevano: ora occorrerà vedere come attivamente si procederà a limitare, ché di questo si tratta, i danni provocati da Internet alla musica.
Danni impensabili e incalcolabili che neppure le più potenti e ricche multinazionali dell’intrattenimento – sotto tiro, oltre alle sette note, c’è ormai anche la Decima Musa, il cinema che ormai viene assaltato come la diligenza di Ombre rosse e saccheggiato come le Americhe dai conquistadores – potevano ipotizzare quando un giovane statunitense appassionato di musica e nuove tecnologie, Shawn Fanning, nel ’99 lanciò il sito Napster.
Tra i punti che dovrebbero trovarsi nel “patto di Sanremo”, che dopo la firma verrà spiegato ampiamente alla stampa mercoledì dagli stessi ministri, uno riguarderebbe i provider . Una prima lettera proprio loro dovrebbero inviarla agli utenti e in essa si dovrà ricordare che l’uso della connettività per scambiare files illegali con i sistemi di file sharing è cosa illegale e quindi converrà andarci piano. Anzi, smetterla. Subito. Altro punto sarà il previsto varo di linee guida per evitare che la comunicazione anche commerciale possa far ritenere lecito o tollerato lo scambio di files illegali. E’ anche certo l’inserimento di clausole contrattuali che consentiranno di rescindere i contratti di connettività nel caso di comprovato e massiccio sharing di files pirata.
Allo studio ci sarebbero anche veri e propri distributori, autorizzati dalle case discografiche, di contenuti on-line: questo punto, se da una parte vede favorevoli le case discografiche, dall’altra incontrerà chiaramente l’opposizione dei vari provider che sul file sharing hanno costruito la loro costante affermazione. L’impressione è che la volontà di fare ci sia ma i mezzi, visto l’incalzare quotidiano, per combattere la pirateria siano o assolutamente inedeguati, data l’abilità dei consumatori con l’operazione di scaricamento files, o ad altissimo rischio tecnologico, nel senso che fatta la legge (telematica) trovato l’inganno (telematico).
Conta, però, e questo è incontrovertibile, che il legislatore abbia finalmente capito la gravità della situazione: verrebbe però da pensare, e dire, che le prime a dover capire la minaccia della musica via Internet dovevano essere le case discografiche, allora come oggi impegnate ad affastellare aggettivi e superlativi su sempre più improbabili, nuovi e cari “artisti”.