In una sentenza di Corte d’appello americana (secondo circuito federale, 2001) – Universal City Studios, Inc. v. Corley – che ha affermato la sentenza del Distretto Meridionale di New York (SDNY), si legge la amena statuizione:
«I ricorrenti non hanno fornito alla Corte alcuna base giuridica per la loro asserzione che la Costituzione richieda che gli “usi legittimi” (fair use) di film su supporto “Digital Versatile Disk” (DVD) debbano potersi esercitare facendo copia dall’originale nella sua forma originale… Non ci è noto alcun precedente che stabilisca che il fair use, come lo protegge il Copyright Act (e, meno ancora, la Costituzione) assicuri la copia con metodo ottimale, o in formato identico all’originale… Il DMCA non impone la benché minima restrizione all’opportunità di esercitare, rispetto a film su DVD, un’ampia gamma di tradizionali diritti di fair use, fra cui lo scrivere commenti su contenuto, citare estratti, e persino copiare porzioni di immagini video e della colonna sonora puntando la macchina fotografica, la videocamera, o il microfono in direzione del monitor mentre questo mostra un film da DVD. Il fatto che la risultante copia non sarà perfetta o manipolabile come una copia digitale ottenibile con procedimento di copia diretta dal DVD non costituisce base per la pretesa di incostituzionale limitazione del fair use» (mio neretto, NdA).
Il comando del legislatore relativo ai diritti di fair use sarebbe quindi assolto, così i giudici del secondo circuito, anche quando le misure tecnologiche poste in essere dai titolari di diritti d’autore hanno per effetto una pervasiva limitazione di tali usi legittimi che, conviene ricordare, fanno parte del quid pro quo nel patto sociale in base al quale, nonostante la generale avversione dei monopoli, vennero concessi, nelle leggi di proprietà intellettuale, diritti di esclusiva agli inventori/autori per limitati periodi di tempo – cioè monopoli temporanei sulle opere dell’ingegno (una protezione per 140 anni – fino al 2144 – concessa a un programmatore che scrive oggi un software, ha vent’anni, e morirà a 90, non è veramente un “periodo limitato”).
I metodi avanzati – le copie digitali, per esempio – dovrebbero essere sostituiti, secondo la corte d’appello, dai frati benedettini.
È proprio così? Le leggi americane assicurano la copia per usi legittimi – art. 107 del Copyright Act e Primo Emendamento alla Costituzione – e, in mancanza di statuizione limitativa (di cui non c’è traccia), tale diritto deve essere fruibile utilizzando qualsiasi metodo di copia, e non solo quello fra i più limitati e inefficienti (quanto a qualità e risultato ottenibile: basta copiare “a mano” la frase che si vuole citare, disse il giudice di merito nella causa Corley). Si dovrebbero invece, anche in America, ritenere invalide misure tecnologiche che impediscano anche uno solo dei metodi disponibili per predisporre copie legittime (e quelle che non proteggono alcun diritto d’autore, come dirò in seguito). Certo, i tempi sono cambiati da quando, per copiare un libro, serviva una pressa, ingombrante e costosa.
Ma il diritto non contempla solo “quello che è stato, ma guarda anche a ciò che potrebbe essere”. E la corte d’appello non poteva non conoscere il profondamente radicato principio di diritto (americano) in base al quale “ogni impedimento preliminare della libertà di espressione si scontra con la fortissima presunzione di essere costituzionalmente invalido” (La sentenza Corley non è passata al vaglio della Corte suprema, per mancanza di ricorso).
In Italia, il concetto delle “misure tecnologiche” è stato introdotto dall’art. 102-quater della legge 22 aprile 1941, n. 633 (LDA) il quale stabilisce che “i titolari di diritti d’autore… possono apporre sulle opere o sui materiali protetti misure tecnologiche di protezione efficaci che comprendono tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono destinati a impedire o limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti”; ed è (art. 171-ter) soggetto a lunga pena di reclusione chi installa dispositivi di decodificazione, e chi fabbrica, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere le efficaci misure tecnologiche.
Diversamente dall’America – dove il §1201(a) del Digital
Millennium Copyright Act (DMCA) viene letto nel senso di una protezione
assoluta contro chi offre o fornisce mezzi di elusione delle misure tecnologiche,
indipendentemente dalla violazione dei diritti d’autore – in Italia è necessario
il dolo specifico della “prevalente finalità o l’uso commerciale
di eludere le misure tecnologiche di cui all’art. 102-quater” (di
protezione dei diritti d’autore).
Allora non commette il reato chi installa dispositivi, e chi fabbrica, o detiene
per scopi commerciali, attrezzature o prodotti, o presta servizi che non abbiano
la prevalente finalità o l’uso commerciale di eludere le misure
tecnologiche – cioè chi detiene il cacciavite, la saldatrice e
il chip:
- per superare le misure tecnologiche, inserite nei lettori DVD offerti sul mercato, per impedire che macchine acquistate in Europa leggano DVD acquistati per esempio in USA, e modifica la propria macchina rendendo possibile la lettura dei DVD ovunque acquistati nel mondo (questo perché l’industria produttrice dei lettori di DVD non è titolare di un presunto diritto d’autore inteso a “proteggere limitazioni regionali”, un diritto che non esiste: l’impostazione “per regioni” non risponde alla definizione di “opera dell’ingegno” contemplata dalla legge sui diritti d’autore);
- per neutralizzare le barriere tecnologiche inserite da un titolare di diritto d’autore direttamente nel supporto dell’opera (DVD), non per proteggere il suo diritto d’autore (cioè come misura tecnologica anticopia) ma per un fine commerciale (cioè la limitazione dell’ambito regionale). Vale anche in questo caso il concetto, mi pare pacifico, che la legge sui diritti d’autore protegge solo le opera dell’ingegno, non le regioni geografiche, e neppure gli abusi antitrust, o le pratiche commerciali, che siano o meno legittime. La protezione copre il copyright. Sembra banale doverlo ricordare: il superamento della “barriera” regionale non è un atto “non autorizzato dal titolare” per proteggere un suo diritto d’autore;
- per superare barriere abusive, per esempio quelle inserite da chi non è il titolare del diritto d’autore, o quelle che proteggono (o proteggono anche) opere libere da copyright: queste barriere possono essere legittimamente superate al fine di rendere accessibili le opere libere;
- per superare le misure tecnologiche che impediscono il libero esercizio dei diritti legittimi, inclusa la fruibilità con sistemi operativi diversi da quelli imposti, in pratica, dal mercato.
Con ordinanza del 31 dicembre 2003 il giudice Mori del tribunale di Bolzano esaminò se fosse illegittimo inserire in un PC un chip che ripristinava funzioni soppresse; e giunse alla conclusione che, nel caso in esame, “la funzione primaria e prevalente dei chip non è affatto quella di consentire l’uso di copie pirata, bensì di superare l’ostacolo monopolistico e di meglio utilizzare la play station, in quanto il chip serve… a leggere dischi di importazione (e ciò potrà non fare piacere ai distributori europei, ma non viola alcun diritto d’autore)”.
Il tribunale di Bolzano ricordò che in base alle norme generali della compravendita, chi vende un bene può anche, in buona fede, limitarne gli usi; ma chi lo acquista non è vincolato a usare il bene in un modo determinato (quello imposto dal venditore): può disporne come vuole (senza trovarsi in prigione). Nel caso esaminato dal tribunale di Bolzano, l’X-Box non deve essere limitata nelle sue prestazioni a fungere esclusivamente da consolle, quando si può facilmente convertire in vero e proprio computer (CPU Pentium 3).
In generale: in Italia è legittimo superare le barriere tecnologiche
(1) quando esse vengono inserite per fini diversi dalla protezione del copyright,
(2) quando esse impediscono la visione e/o l’ascolto di opere libere da
diritti d’autore, e (3) quando esse rendono difficile o impossibile l’esercizio
dei tradizionali “diritti legittimi” (fair uses).
Anche se questi concetti sono relativamente chiari, la tentazione è grande
di fare (senza legittimità e necessità) “come fanno gli
americani”. Lo dimostra la disavventura capitata all’utente il quale,
solo per avere esercitato suoi diritti legittimi, si è trovato coinvolto
in un sequestro e procedimento penale dinanzi al tribunale di Bolzano.
In nota n. 206 della sentenza di merito (Corley) il giudice Kaplan
dell’SDNY scrisse: “È pensabile che la tecnologia fornirà in
futuro i mezzi per limitare l’accesso solo per materiale coperto da copyright, e
solo per usi che violerebbero i diritti dei titolari del copyright.
Non vi siamo ancora”. (Nella nota sono citati tre ottimi articoli che
hanno esplorato questo aspetto). Kaplan scriveva nel 2000.
Ora, nel 2004, “ci siamo”. Sarebbe un notevole passo avanti se ci
si accingesse ad agire in questa direzione. Subito.
La frase potrebbe essere migliorata, capovolgendola: “La tecnologia
può fornire i mezzi per escludere le misure protettive di materiale non
coperto da copyright. Ci siamo già”. Tutti avremmo vita
più facile se si inserissero, nei computer e nei sistemi video/stereo,
misure tecnologiche di protezione contro gli abusi dell’industria. È giunto
il momento di passare all’azione. Perché proteggere solo i diritti
degli inventori e artisti, e non anche quelli dei consumatori?
Serve urgentemente una legge. Chi la propone?