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OECD: il P2P non uccide la musica

Smentite le principali tesi delle major: non solo il file sharing cresce ma non ha un impatto rilevante sul calo delle vendite. A tradire i discografici sono prezzi alti, qualità discutibile e strategie industriali

Roma,

“È molto difficile provare una relazione causale tra le dimensioni del calo delle vendite di musica e la crescita del file sharing”. Questa una delle più importanti affermazioni contenute in un rapporto appena reso pubblico dall’ Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo OECD , uno studio pieno di numeri di estremo interesse che fa il punto sul fenomeno sempre crescente del peer-to-peer e del file sharing in generale.

Il rapporto non si limita a descrivere nei dettagli le diverse forme del file sharing, le numerose tecnologie adottate e i trend di crescita ma anche smentisce almeno alcuni degli assunti branditi per anni dalle major della musica per giustificare la crociata contro queste tecnologie di scambio, come quello secondo cui al loro utilizzo corrisponda una perdita economica per l’industria di settore. In alcuni casi, come noto, l’industria si è spinta in traballanti equivalenze tra numero di brani scambiati e calcolo delle perdite.

L’impossibilità di individuare una relazione causa-effetto tra sharing e calo delle vendite si deve al fatto che il mercato è condizionato da molti diversi elementi “e la stessa industria della musica ha sottolineato che non è possibile quantificare con esattezza l’impatto del file sharing”. A spingere verso il basso le vendite, dunque, sono secondo gli esperti OECD la qualità del prodotto , la pirateria organizzata a fini di lucro, la concorrenza di altri settori dell’intrattenimento e l’andamento della spesa in evasione. Pesano quindi sulle vendite l’aumento della pirateria “fisica” sui CD, i prezzi elevati nonché la crescente popolarità di DVD e videogiochi, che attraggono una parte sempre più consistente degli interessi dei consumatori.

Non solo: gli esperti dell’OECD ipotizzano che il calo delle vendite sia anche dovuto ad una riduzione della varietà della musica, probabilmente legata al fatto che distributori e produttori tendono a consolidarsi in aziende di enormi dimensioni interessate a promuovere certe “hit”, che inevitabilmente finiscono, insieme a qualsiasi altra cosa, anche nelle reti di sharing e che da sole non sono in grado di trainare il settore.

Ma, e questa è forse l’affermazione più importante del Rapporto, “in ogni caso il download di musica non induce tutti i condivisori a sostituire con il file sharing l’acquisto tradizionale”. Il che evidentemente rende “difficile” stabilire “il costo del file sharing illegale”. Come noto, proprio questo costo viene da anni sbandierato come la ragione numero uno per tentare di arginare la condivisione di file.

Lo studio, comparando i molti rapporti sull’argomento, spiega che ci sono evidenze di un impatto di qualche genere del file sharing sulle vendite, ma si tratta in ogni caso di un impatto limitato.

Di grande interesse nel rapporto, inoltre, la valutazione secondo cui l’uso dei sistemi di condivisione è andato crescendo un pò ovunque , con alcune diversificazioni e con diverse tecnologie, sebbene sia ancora presto per valutare in modo definitivo l’impatto che le crociate antipirateria delle major contro gli utenti potranno avere nel tempo sull’uso di questi sistemi.

Il rapporto poi, oltre a descrivere la distribuzione geografica del file sharing, affronta anche l’aspetto sempre più rilevante dell’uso delle tecnologie peer-to-peer per finalità diverse, dal VoIP alla distribuzione controllata e remunerata di contenuti. Lettura dunque assai importante per comprendere cosa sta accadendo su questo fronte: le 132 pagine del rapporto sono disponibili qui in pdf.

Fonte Punto Informatico

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