Il richiamo espresso ieri dal Presidente della Repubblica con riguardo all’importanza di garantire e rafforzare la missione di servizio pubblico della Rai, “nei contenuti editoriali e culturali, nell’informazione, nello stile”, ha accesso un intenso dibattito che ha coinvolto esponenti del mondo politico e addetti del settore. Naturalmente le dichiarazioni di Ciampi hanno chiamato in causa il modello di privatizzazione che a breve si andrà ad operare. Si discute cioè sull’opportunità di procedere alla vendita di una rete televisiva, spezzando così l’attuale duopolio, ipotesi questa caldeggiata dall’opposizione, oppure andare avanti con il piano del Governo, orientato a cedere solo una quota minoritaria, il 25/30% delle azioni.
Anche in seguito al cambiamento societario, rimarrà comunque assicurato il ruolo di servizio pubblico dell’azienda, fa sapere il ministro delle Comunicazioni Gasparri, secondo il quale la Rai continuerà ad essere “garante di una televisione libera e pluralista”.
Va però alla ricerca di garanzie l’opposizione, che con Paolo Gentiloni, responsabile comunicazione della Margherita, focalizza l’attenzione sulla necessità di attuare all’interno della Rai la separazione contabile, considerata un “passaggio obbligato” per evitare che la quotazione in Borsa possa “indebolire ulteriormente una televisione pubblica già poco distinguibile da quella commerciale”. Proprio la distinzione tra l’aspetto pubblico e quello commerciale della televisione è stata al centro delle opinioni che si sono susseguite al discorso del Presidente.
Al riguardo, il critico televisivo Aldo Grasso invita i lettori del Corriere della Sera a riflettere sul significato e sulla valenza che assume la nozione di servizio pubblico, oggi in crisi, e non solo in Italia, in quanto sopraffatta dai modelli della tv commerciale, che dettano legge perché assicurano gli ascolti necessari alla sopravvivenza. Individuare nella tv pubblica odierna trasmissioni capaci di assolvere alla sua missione è molto difficile, fa notare Grasso. Prevalgono sulla Rai “insulsi e insultanti programmi di chiacchiere e pettegolezzi”, mentre paradossalmente tratti di servizio pubblico si scorgono nelle trasmissioni realizzate sulle reti private, commerciali, come la fiction su Paolo Borsellino (Canale 5) o la diretta del funerale delle due sorelle uccise dal terrorismo islamico (Retequattro). Occorrerebbe, secondo il critico, “un concetto moderno di servizio pubblico” che faccia della Rai non una tv “pedagogizzante e minoritaria” ma “una rete d’eccellenza, al di sopra delle parti, capace di confrontarsi con scenari mediatici internazionali (…)”.
Quando si parla di qualità televisiva, non si può non chiamare in causa il temuto Auditel, da molti considerato causa della commercializzazione della tv di stato. Abolirlo dunque? Si, secondo Giancarlo Nicotra, regista di Domenica In, che propone di sostituirlo con l’indice di gradimento, in modo da “capire cosa il pubblico vuole o non vuole davvero”. E a proposito di pubblico, il direttore di Rai Educazione, Giovanni Minoli, sottolinea un’accezione del termine diversa da quella dominante, invitando a pensare la programmazione soprattutto per “l’uomo, il cittadino”, non solo per il “consumatore”.