«La nostra missione principale è la televisione commerciale in chiaro. Il nostro mercato prioritario rimane la raccolta pubblicitaria. È falsa la tesi che le nuove piattaforme sottraggano risorse economiche alla tv tradizionale, e l’esempio sono gli Usa, dove a fronte di un pur sensibile calo dello share non si è avuto un calo degli introiti pubblicitari. Comunque la Televisione Pay per View rimarrà per Mediaset una offerta accessoria e non abbiamo alcun interesse a contrapporre una programmazione sistematica ai canali tradizionali». Questa la risposta di Andrea Ambrogetti (Mediaset, attuale presidente Dgtvi), di fronte ad una platea di circa 100 persone, venute per seguire il Workshop “Accesso ai contenuti e la concorrenza tra le varie piattaforme”, ad una nostra domanda su quali prospettive potessero esserci per Mediaset in un mercato che in futuro sottrarrà utenti alla tv generalista senza offrire le necessarie contropartite economiche.
Al convegno erano presenti sia gli organismi di Garanzia, Antonio Perrucci per l’Agcom e Antonio Pilati per l’Antitrust, sia rappresentanti dei principali competitors tecnologici, Paolo De Chiara per Telecom-La7, Ambrogetti per Mediaset, Alessandra Gagliardi per Sky, Laura Rovizzi per Wind, Enrica Tocci per Vodafone, Innocenzo Genna per Tiscali, Antongiulio Lombardi per H3G e Alessandro Corsi per Fastweb. Mancavano, cosa fatta rilevare sempre da Ambrogetti, i soggetti più importanti: i fornitori di contenuti, film, musica, video, sport.
Tutti gli interventi hanno fornito l’ennesima prova di laboratorio per il “teorema Vigevano”, il Presidente della Commissione sulla diffusione dei contenuti digitali secondo il quale «pretendere di risolvere con leggi fenomeni di tale portata innovativa e in costante evoluzione è eccessivamente ambizioso e rischia di far commettere errori». A conferma di ciò, Pilati ha spiegato come «il ritmo dell’innovazione tecnologica è superiore non solo alle capacità di regolamentazione ma anche a quelle di semplice consumo». L’esempio è venuto dall’intervento di Lombardi di H3G, che ha spiegato come in oriente «sono ormai a disposizione telefonini in grado di ricevere i canali del digitale terrestre, che da noi arriveranno l’anno prossimo, per cui tra breve noi avremo un concorrente che potrà fornire più contenuti a prezzi più bassi sul nostro stesso dispositivo». Concorrente cui, se le cose non cambiano, dal 2007 dovranno acquistare i diritti. E infatti tutti i problemi del settore ormai derivano da una serie di esclusive tecnologiche parcellizzate, per cui ciascuno può far vedere solo la fetta di contenuti che è riuscita ad accaparrarsi. E così si lamenta Sky perché «ci hanno bloccato la possibilità di trattare i diritti, per cui ora i nostri diritti futuri sono in mano alla concorrenza». Si lamenta Fastweb: «Dobbiamo pagare anche per distribuire il segnale in chiaro», mentre De chiara confessa l’inadeguatezza di una generazione: «Siamo i figli di un’altra epoca, gloriosa ma ormai passata, dove rete e contenuto coincidevano. Oggi non è più così».
Alla fine il vero punto da risolvere è quello di decidere se il mercato possa vivere di esclusive oppure se i fornitori di contenuti debbano operare in modo paritetico, così come oggi avviene per i prodotti con supporto fisico. Rimane da capire cosa intenda Mediaset per “offerta non sistematica”, ma una cosa appare chiara: la programmazione Dtt di Mediaset sarà sempre condizionata dalla necessità di evitare di sottrarre alla tv generalista il minor numero di utenti possibile. E poiché quello che vale per Mediaset vale anche per Rai, a questo punto sarebbe interessante sentire il parere del ministro Gasparri, che ha speso ben 240 milioni di euro per imporre la piattaforma e che dovrà convincere gli italiani a spendere una media di 300 euro per acquistare i restanti 37 milioni di decoder a fronte di una offerta di contenuti che non dovranno essere più allettanti dell’attuale. E tutto entro il 2006, anno elettorale.